mercoledì 29 febbraio 2012

ARTICOLI SU MICHELA MARZANO

fonte: MolfettaLive - molfettalive.it
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29/02/2012     

Michela Marzano: l'anoressia è un battito d'ali

di Palma Salvemini

È difficile spiegare cosa voglia dire avere paura di uscire di casa. Il pensiero ossessivo che sarebbe bello chiudere per sempre gli occhi e non svegliarsi più. La tentazione di prendere un coltello e di ferirsi... farsi male per sentire un po’ meno male... in quei momenti non è la morte che fa paura, è la vita. Perché la morte è solo una liberazione da quell’incubo che ti annienta”.

Oggi, Michela Marzano è una donna affermata, ordinario di filosofia e direttrice del dipartimento di Scienze Sociali all’università di Parigi, collaboratrice di Repubblica e scrittrice. In passato, ha avuto un desiderio: voleva essere una farfalla. È rimasta intrappolata nel vortice dell’anoressia, combattuta tra la volontà di affermazione di sé e il dovere di essere qualcos’altro, essere la donna che corrispondesse alle aspettative degli altri. Così, è giunta a pesare soli 35 kg. Ha rischiato di morire. Oggi, Michela Marzano, ha scritto un libro in cui spiega come l’anoressia le abbia insegnato a vivere. “Volevo essere una farfalla”, edito da Mondadori, è stato presentato a Molfetta, nella sala Finocchiaro, lunedì 27 febbraio.

L’incontro con l’autrice, organizzato dall’associazione culturale La Voce di Sant’Andrea, ha previsto anche la presenza di Nicola Costantino, rettore del Politecnico di Bari, insieme a Gaetano Veneto, Francesco de Ceglia e Francesca Romana Recchia Luciani, rispettivamente, docenti di Diritto del Lavoro, Storia della Scienza e Storia della Filosofia Contemporanea, presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Abbiamo intervistato Michela Marzano.

La struttura adoperata nel libro è insolita, segue l’andamento dei pensieri, svincolati dalla concatenazione cronologica dei fatti. Ha mai temuto che potesse risultare destabilizzante per i lettori?
«Sì, forse, ed è proprio per questo che l’ho utilizzata. Perché talvolta per affrontare temi delicati come l’anoressia, il vuoto, il desiderio, il non amore, il non riconoscimento, il bisogno di essere riconosciuti, è necessario destabilizzare proprio per uscire dai luoghi comuni, per fare in modo che il pensiero possa cominciare a circolare. E siccome il pensiero, indipendentemente da quello che si crede, non è lineare ma funziona piuttosto a zig zag, con un và e vieni, volevo fare in modo che questo pensiero potesse iniziare a circolare anche se, il fatto di circolare, talvolta può disturbare. Ma è l’unico modo per smuovere, per cominciare a decostruire degli stereotipi che circondano determinati sintomi, sofferenze e comportamenti».

Cosa l’ha spinta a raccontare della malattia e degli episodi di vita privata che ad essa sono collegati? Ha mai nutrito perplessità sulla opportunità di farlo?
«Allora, comincio dalla fine, perplessità sì, infatti prima di cominciare a scrivere è passato un certo lasso di tempo perché avevo sempre paura che fosse interpretato come una volontà di raccontare cose private. In realtà avevo il bisogno, di passare dal racconto di alcune cose private, di tipo filosofico, nel senso di prendere alla lettera il messaggio di Hannah Arendt quando spiega che “perché un pensiero abbia senso, il pensiero deve essere un pensiero incarnato; perché un pensiero sia incarnato, deve sempre e solo partire da un evento”. Laddove con evento, Hannah Arendt, intende tutto ciò che accade, tutto ciò che ci sconvolge, tutto ciò che ci costringe a rimetterci in discussione. Quindi partire dall’evento che mi aveva sconvolto, cioè l’anoressia, era un modo di mostrare che è da lì che scaturisce il mio pensiero, e che il mio scopo, è proprio quello di rendere un pensiero incarnato a partire da quell’evento mio. Però al di là dell’evento mio, è poi un evento che in realtà ci travolge perché siamo tutti sconvolti da un momento di verità che non coincide semplicemente con le attese altrui e con le apparenze».

Dal libro si evince che avendo vissuto l’anoressia, si è anche dovuta scontrare con molti luoghi comuni, una sorta di tendenza a tipizzare le bulimiche e le anoressiche.
«Sì, questa è un’altra difficoltà. È molto più facile pensare in maniera univoca, dare delle etichette. Quindi anche il fatto di parlare di anoressiche e bulimiche come se fosse la stessa cosa, è un modo da un lato di semplificare, dall’altro di mettere a distanza qualcosa che probabilmente ci disturba. Solo che, soprattutto ultimamente, si stanno diffondendo due mode. La prima, è quella di ridurre gli studi di comportamento alimentare ad una questione di immagine corporea, riferendosi a determinate immagini pubblicitarie della donna che hanno un certo impatto; ma non è questa l’origine di tutto, il fenomeno è molto più complesso. L’altra tendenza è quella di voler far passare le anoressiche o le bulimiche come delle ragazze viziate, che si divertono a far soffrire gli altri, mentre si perde di vista il fatto che nonostante tutto, chi ha questo tipo di sintomo, è prima di tutto vittima. E se non si riconosce il fatto che si sta parlando di vittime perché non riconosciute e non accettate, probabilmente non si danno degli strumenti, alle persone che soffrono di questo tipo di patologie, di poter uscire».

Un suo amico, forse d’infanzia, l’ha definita “una birra rossa”, in riferimento all’intensità che caratterizza il suo modo di approcciarsi alla vita. Questa intensità però, ad esempio in amore, l’ha portata a compiere anche gesti estremi, a rischiare la vita.
«È il problema del troppo. Il troppo e l’intensità ci permettono di vivere in maniera profonda determinate cose. Però certe volte bisogna uscire dal troppo perché troppo è anche troppa sofferenza. Nel caso dell’amore, non è che non si debba amare tanto ma il troppo da eliminare è quella tendenza che a volte si ha, a credere che tutto dipenda dall’altro. Perché se tutto dipende dall’altra persona, nel momento in cui si perde una persona, cosa che può accadere, si ha la sensazione di aver perso tutto mentre in realtà, anche quando si perde tutto, c’è qualcosa che resta, cioè il nostro proprio valore, che non dipende mai dall’amore altrui o dallo sguardo altrui».

Crede ancora nel principe azzurro oppure chi è ora per lei il principe azzurro?
«Dunque, sì, ci credo, però è un principe azzurro diverso nel senso che non è più l’uomo che avrebbe la capacità di colmare completamente il mio vuoto perché il mio, esattamente come il vuoto altrui, in realtà è una caratteristica della condizione umana. Però esiste in quanto presenza reale: in questo momento Jacques, il mio compagno, che è lì, e che forse non è questo amore ideale cui si tende, che si sogna quando siamo piccoli, ma ha tutta la grandezza della concretezza del quotidiano. E l’amore, è sempre e solo nella quotidianità che poi si realizza».

Oggi può dire di aver raggiunto un equilibrio e quale ruolo ha avuto la filosofia nella ricerca dell’equilibrio?
«Equilibrio? Sì, certo, a tratti, forse, talvolta. L’equilibrio non è mai uno stato definitivo. La cosa importante è sapere che c’è la possibilità di evitare il troppo, quindi di restare con i piedi per terra. In tutto ciò la filosofia mi ha aiutato perché è anche grazie alla filosofia che sono riuscita a trovare le parole giuste per nominare quelle cose che prima non riuscivo a nominare. E nominare le cose, è un punto di partenza per fare un po’ d’ordine nella vita».

Allora venite pure avanti, voi che sputate sentenze. E affondate pure i vostri coltelli. A me, di voi, importa ben poco... L’unica cosa che conta veramente per me è che oggi il cibo è cibo, e basta. Che non aspetto più né il principe azzurro, né la fata turchina. Che posso perdermi nella foresta anche quando sta per calare la notte. E che il vuoto può anche spalancarsi, tanto poi si riempie di nuovo di presenza”.

fonte: L'altra Molfetta - laltramolfetta.it
Michela Marzano a Molfetta: un pensiero che lascia il segno

di Angela Pansini
28/02/2012   Non sono state disattese le aspettative per una serata che si prevedeva non avara di emozioni e momenti di profonda riflessione. La Voce di Sant'Andrea ha messo a segno un altro 'colpaccio', offrendo alla città di Molfetta un evento di indiscusso peso culturale.
Michela Marzano, ordinario di Filosofia morale presso l'Universitè Paris Descartes, è impegnata in un giro di presentazioni del suo ultimo volume, Volevo essere una farfalla, edito da Mondadori, che ha toccato alcune tappe pugliesi, tra cui, ieri sera, Molfetta.
Accolta da un inaspettato freddo pungente che le ha ricordato la sua Parigi, dove vive da quindici anni, Michela Marzano ha ricevuto invece un caloroso abbraccio di pubblico durante il dibattito tenutosi presso la Sala Beniamino Finocchiaro. Presenti all'incontro il Magnifico Rettore del Politecnico di Bari, Prof. Nicola Costantino; il professore di Diritto del Lavoro Gaetano Veneto; la Prof.ssa Francesca Romana Recchia Luciani, docente di Storia della Filosofia Contemporanea presso l'Università degli Studi di Bari; a moderare il Prof. Francesco Paolo De Ceglia, professore di Storia della Scienza presso la stessa Università.
Inserita dal «Nouvel Observateur» fra i cinquanta pensatori più influenti di Francia, Michela Marzano pensa e scrive in francese (numerosi i suoi saggi scritti nella lingua d'oltralpe, rispetto alle sei pubblicazioni in italiano), ma per Volevo essere una farfalla ha scelto la 'lingua paterna', dando vita a un libro sicuramente autobiografico, ma che – ci tiene a precisare l’autrice – è sopratutto un testo di filosofia.
Come l'anoressia mi ha insegnato a vivere è il sottotitolo del suo ultimo lavoro editoriale, e l'anoressia – battaglia duramente combattuta e vinta dalla filosofa – è sicuramente il tema portante del libro presentato ieri sera davanti a un foltissimo e partecipe pubblico; ma il dovere e l'amore sono altre due parole chiave di un testo scorrevole, ottimamente scritto, che alterna pagine di estrema durezza a momenti di toccante dolcezza.
Volevo essere una farfalla – come emerso nella lucida, apprezzata e delicatissima analisi del Prof. Costantino – coniuga perfettamente il rigore del filosofo e la personale passionalità di Michela Marzano.
Una Michela Marzano che nel corso della serata non ha mancato di esternare quel vigore intellettuale ed emotivo che coglie di sorpresa in una donna dai modi tanto gentili e dal sorriso luminoso, i cui occhi hanno più volte saettato, in una sorta di commento muto eppure esplicito alle osservazioni dei colleghi relatori.
«Io non sono una ragazza, sono una donna di oltre quarant'anni, sono un professore ordinario di Filosofia Morale!»: Marzano ha così apostrofato il Prof. Veneto, quando, circa il libro oggetto della presentazione, ha dichiarato di aver pensato che ‘questa ragazza scrivesse proprio bene’.
Ma la docente romana non ha lesinato il proprio disappunto neppure nei confronti della Prof.ssa Recchia Luciani, che ha definito l'anoressia come ‘un'esperienza conoscitiva’. Un'espressione forte e poco appropriata, almeno a giudicare dalla risposta della Prof.ssa Marzano, la quale ha ricordato come dall'anoressia non ha imparato assolutamente nulla e che l'aver scritto che ciò che lei è oggi è frutto delle difficoltà affrontate nella sua vita è stato forse male interpretato.
Ma, a parte i momenti di vivace scambio di pareri, non sono mancati lunghi minuti di affascinanti dissertazioni sul tema dell'amore, sopra tutti, prendendo spunto anche da intelligenti osservazioni partite dalle file del pubblico. Michela Marzano, infatti, parlando con chiarezza e semplicità, scava a fondo e offre chiavi di lettura importanti, spunti che fanno riflettere. E talvolta commuove e fa rabbrividire, come alcuni passi del suo libro da lei stessa letti con profondo pathos.
Della sua semplicità di linguaggio, che consente al suo pensiero e al pensiero filosofico più in generale di avvicinarsi ed essere compreso anche da chi non ha particolari conoscenze a riguardo, Marzano ha fatto una cifra stilistica distintiva, che si ritrova in Volevo essere una farfalla, come anche nei pensieri che esprime quasi quotidianamente sul suo seguitissimo blog (marzanomichela.wordpress.com).
Un appuntamento, quello di ieri, ricco, intenso, autenticamente alto, come Molfetta sta imparando ad abituarsi solo da pochi mesi.
Della serata in compagnia di Michela Marzano i nostri lettori potranno leggere alcuni approfondimenti sul numero di aprile de «l'altra Molfetta».


di Angela Pansini    

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